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20/05/2019
Quando penso al Piave ho una serie di immagini e connessioni mentali che mi scattano.
Penso allo stupore quando lessi la prima volta che, secondo la tradizione, nel 569, il re longobardo Alboino incontrò il vescovo di Treviso Felice, che lo convinse a risparmiare la città, proprio sulle rive del Piave.
Penso al “Fiume sacro alla Patria” (Dio sa quante volte io abbia letto questo cartello in auto da bambina con i miei):
in automatico mi riecheggiano nella testa i versi “Il Piave mormorò: “Non passa lo straniero” e ricordo alcuni monumenti dedicati ai caduti della Grande Guerra.
Il Piave può essere crudele: lo sa chi ha perso qualcuno nelle sue gelide acque e chi ha assistito sgomento alle sue piene, celebre quella del ’66 e fortunatamente meno rovinosa quella dello scorso autunno. Solo chi è stato a contemplare il fiume in piena, ne conosce i boati ed ha respirato paura osservando la furia delle acque fangose.
Ma il Piave per me è anche tanto altro!
La Piave
Intanto è “La Piave”, come dicono i nostri vecchi, forse a richiamare il binomio acqua - vita, quasi fosse una madre.
Sì, perché è quasi con una sorta di fierezza che dico di essere di Maserada sul Piave, quasi Salettuol, anzi, meglio ancora, “Sanitioi”: sappiate che potete parlare tutte le lingue del mondo, ma da queste parti, due ciaccoe in dialetto aprono ancora molte porte e tanti cuori.
Mi vengono in mente le estati calde, i campi gialli di grano, le instancabili cicale, il rumore intermittente dei getti usati in agricoltura ed io e mio fratello che cercavamo di intercettarli ed aspettavamo qualche goccia per rinfrescarci.
Mi vengono in mente i vini del Piave: Raboso, Cabernet, Merlot, ma anche tesori nascosti, tradizioni ora introvabili, dai nomi dolci come il Fragolino o taglienti con il Clinto, che già solo a nominarlo vedo le labbra tinte.
Mi vengono in mente le vendemmie: sarò franca, ero bambina e non mi piaceva affatto quella fatica; eppure ho ben presente che anche “per i grandi” era pesante, ma la svolgevano con piacere, raccontandosela nel mentre e poi assaporando un buon piatto insieme.
Penso alla Piave e rivedo anni felici: nonno aveva un’osteria e da lui passavamo parecchio tempo. Afferravamo le bici e scappavamo al fiume, quando gli argini erano ancora di terra e ricoperti da acacie, con i cui fiori si potevano fare frittelle.
I Ricordi
Ricordo le notti di Pasqua, in cui si andava nelle radure, ci si accampava. Si prepara la cosa con anticipo, ogni compagnia sempre nello stesso posto. Immancabilmente, più volte ci si perdeva e ci si ritrovava. Per una notte, tutte le fazioni scomparivano, ogni antipatia veniva accantonata, ognuno era amico di chiunque ed un bicchiere veniva offerto a chi capitava nel proprio accampamento. Il giorno dopo si puliva tutto, lasciando il posto meglio di come l’avevamo trovato, come insegnava Baden Powell: perché tanto ci si sarebbe tornati ancora e per rispetto. Il Piave era inviolabile. Ah, lo devo dire che per molti anni, anche oltre la maggiore età, non ebbi il permesso di pernottare lì?
Ricordo ancora quante serate finite “ai monumenti”, giusto per raccontarsi l’ultima, avvolti da un cielo stellato, mentre sul ponte le auto passavano indifferenti.
Ricordo il giorno di San Rocco, pellegrino che, malato, si ritirò a vivere proprio lungo un fiume, sostenendosi grazie a quello che un cagnolino li portava. Ecco, il 16 agosto si va a messa al mattino nella piccola chiesa a lui dedicata. Mamma mi disse che il soffitto fu finito grazie ad un’offerta di una zia. Questo dettaglio mi rimanda ad altri tempi, altri ritmi, anni in cui la devozione popolare era forte. Eppure anche oggi si partecipa alla funzione e poi via, a mangiare le trippe (sí, di mattina, in agosto. Signori, questa è la tradizione!)
Ricordo i nostri bagni nell’acqua freddissima. Quelli li facciamo ancora. Se accamparsi ora è vietato, recarsi sul greto del Piave per prendere la tintarella e rinfrescarsi un po’ è ancora in voga ed anzi, attrae sempre più persone, che sicuramente trovano meno comodi i sassi e la gaia rispetto alla spiaggia dorata, ma trovano pace a volontà ed arrivano senza disagi.
Mi rendo conto che queste mie parole suonano quasi nostalgiche, malinconiche e probabilmente lo sono, perché porto la Piave nel cuore.
Ecco, mi piacerebbe un giorno portarvici e dirvi: “Benvenuti a casa”.
Ilaria Barbon