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Una domenica di primavera: il Montello

05/05/2020

Ci siamo, la primavera è nell’aria.


Le chiome tornano a rinverdirsi gradatamente, il sole inizia a scaldare e la luce rimane più a lungo. In giardino spuntano margherite, violette, primule, crochi ed altri fiori. Il calicantus non è forse tra le piante più belle, ma il suo profumo ci avvisa che la natura si sta risvegliano dal torpore invernale.
Non so voi, ma la primavera scatena in me sensazioni opposte: da un lato spossatezza e stanchezza, come se il mio corpo dovesse prendersi del tempo prima di svegliarsi dal letargo; per non parlare, poi, delle allergie: i fazzoletti non mancano mai in casa nostra.
Eppure mi ritrovo carica, di buon umore.
Sento l’energia e non ce la faccio proprio a rimanere in casa: devo uscire, godermi l’aria tiepida.

A Treviso ci riversiamo in città, privilegiando i locali che hanno un plateatico oppure quelli all’aperto, magari lungo il fiume.
Alla domenica, poi, ci piace rimanere in città ed approfittare delle tante manifestazioni organizzate, dei mercatini in piazza o sulle mura, ma è altrettanto bello prendere l’auto per la classica gita fuori porta. Da qui si raggiungono velocemente sia mare che montagna, ma, se preferiamo stare in campagna, non abbiamo che da scegliere.

Sicuramente, oltre al Piave, un’altra meta amata è il Montello.

“Il Montello è un singolare rilievo di terra rossa che si erge isolato nella pianura trevigiana a sud del corso del Piave e con un' altitudine massima di circa 370 metri. La sua struttura geologica è composta da conglomerati alluvionali, trasportati dal fiume Piave, risalenti al Cretaceo Superiore e al Miocene Superiore (tra i 60 e i 5 milioni di anni fa). Lo stesso nome indica che non si tratta di una vera e propria collina (non è articolato in più dorsali ed è sostanzialmente compatto e massiccio), ma l'altezza modesta non lo rende neppure una vera e propria montagna.

Tipiche del Montello sono le doline carsiche, con la formazione di grotte, alcune delle quali visitabili, e risorgive senza lo scorrimento di acque superficiali.

Sicuramente un tempo era diverso da come ci appare ora.

Oggi, in questo piccolo polmone, predomina la robinia, pianta di origine Americana, i cui fiori profumati possono essere raccolti per farne deliziose frittelle.
Un tempo, però, era ricoperto di querce. E guai a toccarle! Le pene per i trasgressori erano severissime.
Infatti, in passato il bosco apparteneva alla Serenissima. Nel 1471 l’intera foresta del Montello fu resa demaniale e nello stesso anno fu la Casa dell’Arsenale ad avere la totale gestione dei boschi e dell’ approvvigionamento di legname.

Il Montello era una fonte preziosissima per Venezia, che aveva una gran fame di legno: per le fondamenta della città, per le vetrerie, per riscaldare il centro abitato, ma anche per le navi. Scrive Franco Viola in una lezione su “Le foreste della Serenissima” che a inizio 1400 “Venezia possedeva una flotta mercantile dotata di 3300 navi (..)
L’Arsenale armava ogni anno 45 nuove galere da guerra (…).
Le galee veneziane del 1400-1500 erano navi piuttosto complesse”; per la loro costruzione veniva utilizzato legna di ottima qualità, soprattutto quercia.
Ecco che tutto il Montello fu accatastato.

Della dominazione veneziana rimane traccia nel sistema stradale delle cosiddette “Prese”, ossia vie che salgono verso la cima del colle, attraversandolo longitudinalmente.
A fine Ottocento che questo sistema stradale assume la connotazione attuale: 21 stradine che salgono, tutte collegate da una strada dorsale che va da Est ad Ovest.

Sono tutte numerate ed i loro nomi ricordano la Prima Guerra Mondiale.
Numerosi, infatti, gli episodi del conflitto riconducibili a questi luoghi, che ne conservano le memorie, come il Sacrario Militare, il monumento a Francesco Baracca...
Troviamo riferimenti alla guerra anche nei nomi, come in Nervesa della Battaglia (la seconda parte fu aggiunta in seguito).

E proprio in questo paese si trovano due dei luoghi che mi fanno amare il Montello, dove vi porto oggi virtualmente.

Il primo è un posto pieno di fascino, specie se avete fortuna di recarvici durante la settimana o in momenti di scarsa affluenza.
Si tratta dell’Abbazia dedicata a Sant’Eustachio, soldato-martire protettore dei combattenti. Venne fondata nell’ XI secolo dal conte Rambaldo III di Collalto e la madre Gisla, di origine Longobarda.
Il potere dell’Abbazia crebbe, tanto che presto ebbe sotto il suo controllo pievi e cappelle fino a Mestre.Tra il 1500 e il 1600, divenne un importante centro culturale, mentre a metà del ‘700 venne trasformata in un'importante azienda agricola.

 


Fu sicuramente grazie a quest’operazione che l’Abbazia sopravvisse alle soppressioni napoleoniche (i Francesi chiusero tutti gli ordini religiosi, utilizzando per scopi diversi chiese e monasteri, spesso poi abbandonati alla loro decadenza).
Si arrivò comunque alla soppressione, ma per decisione delle autorità ecclesiastiche nel 1865.

Durante la Prima Guerra Mondiale l’edificio subì ingenti danni. Venne restaurata alla fine del secolo scorso, mentre recentemente la famiglia Giusti-Dal Col, proprietaria di un’importante azienda vinicola, ha finanziato un secondo e massiccio restauro, conclusosi a marzo del 2018.
Quando si arriva, si lascia l’auto e si sale per un sentiero, fiancheggiato da alberi. Sulla sinistra ulivi ed un vigneto, una delle coltivazioni per eccellenza dell’area, ed altre tracce della presenza dell’uomo. Si tratta di una lieve salita, un percorso che prepara il nostro animo alla suggestione del luogo.

Percorrendo il perimetro esterno, nella quiete sembra di entrare in un’altra dimensione. Uno sguardo alla pianura e si attraversa quindi la porta d’ingresso.

Oggi rimangono brani di antiche mura e vestigia, si intuisce come potesse essere la struttura originaria, ci si addentra in un piccolo labirinto di testimonianze del passato. Quando vengo qui, mi viene sempre in mente “Il nome della rosa”, soprattutto se mi reco nella chiesa, dove si intravedono ancora resti di affreschi.

Mi chiedo spesso come fosse abbellita, anche mentre alzo gli occhi a quella che era la cupola centrale, ora totalmente scoperchiata, che ci regala uno scorcio meraviglioso e sempre diverso: un pezzo di cielo.
Credo che abbiate capito che non si tratta affatto di una struttura integra (rimangono alcune zone dell’area ex-conventuale e delle pavimentazioni originale), tuttavia forse è proprio l’assenza, ad impregnare di poesia questo luogo.

A proposito di letteratura, mi immagino poi come potesse essere questo incanto dal Cinquecento, quando divenne un importante polo culturale, che ospitò per esempio, la penna tagliente di Pietro Aretino, “flagello de principi”, e frequentato anche da Gaspara Stampa, donna colta e libera, che non ebbe timore di mettere in versi la passione ed i moti dell’animo. Tra tutte, però, la presenza forse più significativa è quella di Monsignor Giovanni della Casa, che qui scrisse il famoso “Galateo overo de' costumi”, trattato denso di spunti di riflessione ed ancora attualissimo dopo quasi 500 anni.

Sappiate che si organizzano eventi culturali, per cui vale la pena verificare se ci possa un motivo in più per fare un salto da queste parti.

E se dopo questa sosta avete voglia di mettere qualcosa sotto i denti? Non c’è problema.

Il Montello pullula di ristoranti, agriturismi, osterie, dove potete degustare piatti a base di specialità tipiche della zona, come per esempio la patata del Montello.
Pare che siano stati i soldati di Napoleone ad introdurne la coltivazione.

Questo tubero è conosciuto anche con il nome di patata carantina, rifacendosi proprio al nome in lingua veneta della terra rossa del Montello, “el carant”.

Per le pietanze non avrete che l’imbarazzo della scelta, a seconda della stagione, tra piatti a base di erbe spontanee, funghi, polenta, coniglio, insaccati, castagne, miele...
Ho già l’acquolina.

Il tutto va annaffiato con ottimo vino della zona, dato che quest’area rientra nella zona DOC Montello e Colli Asolani.

Esiste anche la strada del vino, che porta lo stesso nome ed abbraccia un lembo di terra che va da qui, Nervesa, fino ad Asolo, “città dai cento orizzonti”.
Oggi il Consorzio Tutela Vini Montello e Colli Asolani, vanta la tutela di due DOCG, l’Asolo Prosecco Superiore e il Montello Rosso.

Inoltre sono prodotti anche altri vini DOC, come Chardonnay, Pinot Grigio, Pinot Bianco, Manzoni Bianco, ma anche rossi, come Merlot, Cabernet, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Carmenère, Montello e Colli Asolani Rosso, Montello e Colli Asolani Bianco, Montello e Colli Asolani Venegazzù.

Se siete pronti per la seconda tappa, posso ora portarvi nel mio posto del cuore.

Si tratta di un luogo dell’infanzia che ho riscoperto qualche anno fa, grazie ai creativi di Fabrica, centro di ricerca sulla comunicazione che accoglie giovani creativi da ogni parte del globo, fondato da Luciano Benetton ed Oliviero Toscani, un’abbinata ben nota del Trevigiano.

Insomma, un bel giorno mio fratello mi mostra questo cortometraggio che gira su Youtube. Lo guardo e (ah, il talento!) rimango catturata dalla malinconica melodia di fondo, dalla saggezza delle parole di quell’uomo intervistato e da quelle immagini, che scorrono e mi offrono frasche verdi, scintille di fuoco, giostre colorate: mi portano mano a mano in un luogo familiare, della mia infanzia, eppure quasi dimenticato.
Rimango attonita. Sono “I Pioppi”. Ovviamente ci sono tornata e ve lo consiglio.

Si tratta di un’osteria con un parco giochi, sempre a Nervesa, immerso nel verde di boschetto con pioppi, olmi, faggi, platani, castagni e betulle.
La particolarità è che il parco è stato costruito completamente a mano e funziona senza elettricità. Il proprietario Bruno Ferrin nel 1969 ha iniziato costruendo un’altalena in ferro e da lì non si è più fermato.
La prima giostra montata è stata una classica altalena, a cui si sono aggiunti scivoli di più altezze, un bob, una gabbia, un tappeto elastico, il giro della morte a pedali...
Ad oggi le giostre sono ben quaranta!

 


E’ un luogo in cui si torna alla semplicità, dove si sta bene, sia grandi che piccini, dove il cellulare rimane in borsa.
Si tratta di una chicca, tant'è che anche The Guardian nel 2015 l’ha inserito tra i 10 parchi gioco più curiosi.

Eppure, nonostante la fama acquisita grazie a questa pubblicità spontanea, non cercata, la sola cosa che è cambiata è il numero di visitatori. Per il resto, l’atmosfera è quella di sempre, rilassata e gioiosa.
Spero di avervi incuriosito e, se venite a trovarci a Treviso e volete vivere un’esperienza come uno del posto, questo è il mio consiglio.

Ci vediamo sul Montello!

Ilaria Barbon

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